" Trovo sempre estremamente difficile definirmi come artista. Penso che debbano farlo gli altri. E devo dire che se, all'apparenza, trasmetto un'immagine, forse anche per studio e per percorso professionale, estremamente razionale, il momento dell'arte della pittura è per me il momento della liberazione, della conquista della parte irrazionale in cui compaiono volti, personaggi collocati in ambienti che non saprei definire. Spesso fatico a dare una risposta al motivo per cui dipingo. E’ un impulso irrefrenabile, una necessità fisica e psicologica. Mi porto appresso sempre un taccuino dove è annoto velocemente con piccoli schizzi e parole delle idee che poi vado a sviluppando.
L'artista è un viaggiatore del tempo.
Ho sempre trovato affascinante, rivoluzionario, controcorrente il ritorno al mestiere nella pittura.
Ho guardato molto alle avanguardie storiche del Novecento. Mi ha sempre colpito il ritorno al mestiere di De Chirico ma anche la classicità di molte opere di Picasso. Certamente la permanenza a Roma nel periodo universitario ha influito molto sulla mia passione per il Mito Classico. E poi proprio a Roma ho avuto la magica fortuna di conoscere una serie di artisti e artiste che dalla fine degli anni settanta, sotto la spinta di Plinio De Martis il noto gallerista che lanciò gli artisti della Pop Art di Piazza del Popolo, realizzarono un controcorrente ritorno alla pittura in anni in cui questa sembrava definitivamente sparire. Artisti come Franco Piruca, Alberto Abate, Carlo Maria Mariani, videro nell'atto di rivoluzionario di ritornare al mestiere della pittura una formula che consentiva loro di unire il passato al presente. In qualche modo mi sono sempre riconosciuto in quel percorso. A mio parere, il viaggio nel Mito e nei Simboli trasforma la pittura di figurazione in arte concettuale.
Penso che il mio dipinto più noto e significativo possa essere rappresentato dalla “Goccia Divina - Omaggio al Monviso” che fu presentato nel 2015 a Expo Milano in cui c'è la natura, ci sono le mie radici, c'è il Monviso e c'è il sogno di una bellezza ideale che, come la bellezza della natura, è rivolta al cielo, proprio come il volto raffigurato di profilo che, ad occhi chiusi, sogna, per lei e per noi.
Più che un pittore della realtà penso di essere un pittore dei sogni. Le mie figure sono riferibili al reale ma presentano una sorta di idealizzazione che richiama forse al grande tradizione del Rinascimento italiano. Allo stesso tempo non sono identificabili in una persona reale ma, spero, alla sua essenza.
Ricordo con piacere una delle più belle definizioni che ebbe a dire dei miei lavori Vittorio Sgarbi definendomi come un pittore che dipinge le anime.
E’ un equivoco pensare che la mia pittura sia esclusivamente un esercizio tecnico, quasi a imitazione, che peraltro ritengo inutile, del passato. E’ piuttosto un'idea di consapevolezza di unire la tradizione del passato ad un'idea nuova di futuro, che sulla classicità, a mio parere deve, basarsi: se non sappiamo da dove arriviamo non sappiamo nemmeno dove stiamo andando! C'è sempre uno spazio di indefinibile, di inspiegabile, di non narrabile nelle proprie opere. I dipinti, i disegni sono come degli specchi in cui l’osservatore spesso vede riflesso il proprio pensiero, i propri sogni, i propri incubi, le proprie speranze. Dunque non una pittura accademica o passatista, ma una pittura che guarda alla sfera dell'irrazionale del sogno quasi a voler cercare delle risposte a ciò che risposta non ha".